Pensilina #3: Cambio di prospettiva

Titolo alternativo: "Guidare in Inghilterra"

L’esperienza nelle campagne inglesi del Dorset è stata ricca di momenti bucolici, ma i piccoli villaggi in cui ci trovavamo non erano certo tra i meglio forniti del pianeta in termini di servizi e cose da fare. Fortunatamente, entrambi gli host da cui abbiamo ricevuto accoglienza hanno avuto a cuore questo aspetto e hanno cercato di sopperirvi, ognuno a suo modo. In particolare, la prima famiglia, della cui gentilezza ho già parlato nella scorsa “Pensilina”, presso cui siamo stati per ben 5 settimane, ci ha permesso di guidare la loro macchina nei momenti in cui era inutilizzata - ossia molto spesso - e in cui non avevamo altri compiti da svolgere. Questo ci ha permesso di visitare alcuni punti di interesse nelle vicinanze e di sopperire alla mancanza di alcuni servizi, ma ha anche nascosto delle insidie inattese.
Infatti, da guidatore relativamente esperto in Italia - ciò mi ha appena fatto ricordare che devo già rinnovare la patente dopo i primi 10 anni di guida, notoriamente uno dei principali indicatori di invecchiamento - ho approcciato con una certa spavalderia la differenza con il sistema di guida Inglese. D’altronde, mi dicevo, ho guidato nel caos di Marrakech e varie altre città marocchine, con i relativi attraversamenti di “pedoni kamikazee” - in gergo rigorosamente tecnico - per cui quanto potrà mai essere difficile guidare sulla corsia di sinistra invece che a destra?
Ciò che sottovalutavo, però, è che la vera difficoltà non stava tanto nel verso di percorrenza, ma nel guidare un’auto Inglese, in cui il conducente è a destra e non a sinistra dell’abitacolo. Questo richiede tutta una serie di aggiustamenti che non avevo calcolato, come il dover cambiare marcia con la mano sinistra e il dover ricalcolare tutte le distanze dalle altre vetture e dal ciglio della strada, che mi hanno fatto sentire come se fossi nella situazione di dover re-imparare a guidare una seconda volta per certi aspetti. Ed è così che un’attività che svolgevo in modalità semi-automatica in Italia richiedeva ora il massimo della mia attenzione e concentrazione, dato che le prime volte mi ritrovavo spesso ad allungare automaticamente la mano destra verso la manopola del cambio - in una sorta di rivisitazione della sindrome dell’arto fantasma - o ad essere troppo vicino al ciglio sinistro della strada, con i rischi annessi per lo specchietto del lato passeggero - cosa non proprio simpatica specialmente guidando l’auto di qualcun altro.
L’impatto “traumatico” con le auto inglesi mi ha fatto riflettere su come il nostro cervello, grazie alla pratica di certi meccanismi e movimenti, sia in grado di rendere automatici e abitudinari alcuni comportamenti che in realtà sono tutt’altro che banali, integrandoli all’interno del Sistema 1 di cui parla Daniel Kahneman nel suo interessantissimo “Pensieri lenti e veloci”. Nel momento in cui invece dobbiamo adattarci a qualcosa di nuovo, l’energia mentale, da Sistema 2, necessaria per svolgere una funzione del tutto analoga, o come nel caso della guida Inglese semplicemente a specchio, è straordinariamente più alta, almeno finché non ci si abitua.

Un discorso similare vale anche per lo stravolgimento delle routine che avviene quando si viaggia: in un contesto abitudinario in cui l’organizzazione delle giornate è più o meno sempre similare - mi alzo, mi preparo, mi trasferisco sul posto di lavoro se necessario, inizio a lavorare e così via - è relativamente semplice instaurare una routine ed inserirvi o mantenere un’abitudine, perché la si può collegare più facilmente ad uno specifico momento della giornata. Durante un viaggio, invece, dato che le giornate sono solitamente più “variegate” e hanno una struttura decisamente più flessibile, si rischia di perdere il filo di certe abitudini e l’organizzazione della giornata stessa richiede molta più energia, un po’ come adattarsi ad un nuovo stile di guida.
Un esempio personale può essere il fatto che durante il mio periodo lavorativo avevo instaurato l’abitudine di leggere per almeno 45 minuti prima di lavorare ed il fatto che le mie giornate fossero più o meno strutturate sempre allo stesso modo mi permetteva di mantenerla con una certa facilità. Durante il viaggio, invece, seppure io la ritenga un piacere ed un’attività particolarmente importante per la mia crescita personale, è stato molto più difficile ritagliarmi dei momenti dedicati ad essa, forse perché ogni giorno dovevo impegnarmi a collocarla in un certo momento della giornata che non era sempre lo stesso. Ovviamente questo si riflette, come molte cose nella vita, in un compromesso: la fissità della routine, nella sua efficienza, può essere ostacolo alla varietà degli stimoli e delle esperienze quotidiane, mentre viceversa l’inefficienza dal punto di vista di “consumo energetico” del non avere giornate ripetitive può essere bilanciata da maggiori stimoli come nel caso del viaggio. Come in ogni cosa, il trucco sta probabilmente nel trovare il giusto bilanciamento per sè stessi e la situazione in cui ci si trova.

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Manuel Gatti