Il Paradosso della (in)stabilità
Sembrava che ad ogni tornante stessimo girando su noi stessi, ma piano piano stavamo salendo
Se hai mai viaggiato per un certo periodo senza avere un piano ben preciso, quasi sicuramente ti sarà capitato di provare quella sensazione di smarrimento che ti fa mettere in dubbio il senso per cui lo stai facendo. A quel punto avrai ripensato a tutti i luoghi meravigliosi che hai visitato, alle persone che hai conosciuto più o meno di sfuggita - come un eterno avvicendarsi di racconti più o meno superficiali da serata “appuntamenti al buio” con timer incorporato - alle esperienze, alle abbuffate e ai momenti di gioia e convivialità, così come quelli di stress e stanchezza per il continuo girovagare. Se sei un po’ come me, però, ti capiterà anche di associare queste sensazioni allo scorrere nostalgico di istantanee, quasi come avessi voluto collezionare tanti più momenti, luoghi e persone possibili per poter spuntare un qualche punto dall’elenco di un’invisibile checklist inevitabilmente infinita – dato che allo stesso tempo ti starai accorgendo dell’impossibilità di terminarla anche solo lontanamente. Come si sarà capito, non sono un fan delle cartine geografiche in cui puoi segnare i posti che hai visitato come fossero delle figurine – “ce l’ho… ce l’ho… mi manca!”.
Intendiamoci, vedere molti luoghi e spostarsi di frequente ha sicuramente i suoi vantaggi: nel caso del mio viaggio in Centro America – e specialmente in Messico dove tutto è iniziato – mi ha permesso di vedere posti meravigliosi, conoscere tantissime storie di persone più avventurose della media, vivere momenti bellissimi e ricevere continuamente spunti su cui riflettere dalla visione di come sono organizzate le famiglie, le attività o interi paesi e città locali.

Ed è proprio perché gli stimoli sono così numerosi che la necessità di fermarsi ad elaborarli si faceva man mano sempre più impellente - il paradosso di scappare da una certa routine ma sentire la mancanza di una struttura alla tua giornata quando finalmente ci sei riuscito. E il conoscere una cultura e una società così diversa dalla nostra, così stimolante – parlerò meglio dei motivi per cui credo lo sia in un prossimo post – generava in me tutta una serie di idee, o anche solo di barlumi di esse, che necessitavano di una certa stabilità per essere esplorate.
Quando abbiamo deciso di fermarci per un paio di mesi nella regione che più ci aveva colpito tra quelle che avevamo visitato – il Chiapas, nel sud del paese, e in particolare la bellissima San Cristobàl de las Casas – ho definitivamente realizzato l’importanza di avere dei punti di riferimento: un appartamento/stanza a cui tornare (e da non dover cambiare ogni qualche notte, ormai un lusso), il negozietto sotto casa con il “queso fresco quello buono”, il mercato cittadino con il venditore di uova di fiducia, le facce ricorrenti, le parate per strada durate giorni e giorni in onore della “Maria de Guadalupe”…
Ma soprattutto la possibilità di stabilire anche relazioni più stabili e durature con alcune persone, come le amicizie con due splendidi viaggiatori che ci hanno permesso di festeggiare i vari pranzi domenicali, Natale e Capodanno senza sentire troppo (diciamo più o meno) la nostalgia della famiglia; di riprendere alcune abitudini altrimenti impossibili o sicuramente più difficoltose, come qualche partita di calcio al campetto con i ragazzi del luogo, la lettura e lo studio di nuovi argomenti che tanto mi dispiaceva sacrificare; di ricercare e frequentare gruppi di persone che organizzassero o partecipassero a incontri ricorrenti su certi temi di nostro interesse – nel mio caso un piccolo manipolo di persone interessate all’indipendenza finanziaria e alle cosiddette “crypto-valute”; di avere modo di rimboccarsi le maniche per svolgere attività “produttive”, come il volontariato presso un ostello del luogo o la scrittura di alcuni articoli legati alla mia più grande passione e oggetto dello studio di cui sopra, ossia Bitcoin – di cui tra l’altro ho creato una newsletter separata nel caso fosse di interesse per qualcuno; di praticare con molta più consistenza la lingua spagnola, di cui in quel periodo abbiamo fatto i maggiori progressi.

Fermarsi, riflettere, ricaricarsi, avere una certa stabilità e routine è di tanto in tanto necessario anche durante un viaggio, almeno per come sono fatto io. E devo dire che ad un certo punto, paradossalmente, ho sentito che non fosse abbastanza nemmeno così: il fatto che viaggiassimo necessariamente leggeri – con un solo zaino da 8/10kg, scelta che definirei azzeccata visto quanto facilita i frequenti spostamenti – ci privava di alcuni strumenti che avrebbero aiutato a realizzare alcune delle nostre idee, come il computer a cui ho scelto di rinunciare - cosa che ha sicuramente influenzato sulla produttività praticamente nulla nell’aggiornare questa newsletter, di cui mi scuso :D. Ma anche semplicemente il fatto di sapere che fosse una stabilità soltanto temporanea non permetteva di pensare a progetti nel lungo periodo: più volte ci siamo immaginati come sarebbe stato aprire un’attività o intraprendere un progetto di più ampio respiro, ma il fatto di non immaginarci in quel luogo per più di qualche mese era un evidente ostacolo pratico.
E’ stata comunque una “pausa” sicuramente benefica e necessaria, se non altro per ricaricare le pile in vista del resto dell’avventura negli altri paesi del Centro America e per tutti i benefici elencati più sopra.
Questa riflessione non ha infatti una conclusione ben definita: il se e come viaggiare sono scelte che dipendono molto dalla propria attitudine e dal momento, cose che non possono essere facilmente generalizzate.
Mi sento però di esprimere il paradosso che ho vissuto in questo ultimo anno della mia vita: avere una routine troppo fissa e poco stimolante mi ha spinto a fare una scelta drastica e cominciare a viaggiare; viaggiare mi ha dato poca stabilità ma moltissimi spunti ed idee su come vorrei impostare la mia vita futura; queste idee si sono accumulate sempre di più e hanno accelerato notevolmente la necessità di metterle in pratica, cosa che mi ha fatto realizzare come non sia possibile farlo senza una stabilità ed una routine, con forse il rischio di tornare al punto di partenza.
A pensarci bene, però, probabilmente non è un paradosso, ma semplicemente un normale processo di crescita, in cui la nuova stabilità punti ad essere ad un livello di soddisfazione e consapevolezza quanto più superiore possibile rispetto a quella di partenza, il tutto grazie ad un percorso in mezzo alle due che non può che essere instabile e con pochi, ma saldi, punti di riferimento.
Interessanti considerazioni, mi ci ritrovo in parte anch'io. Come ben dici, se viaggi da un lato ci perdi però gli stimoli aumentano e portano idee mai pensate prima, e caramba se non è poco...
La soluzione, chissà, potrebbe essere nel mezzo? Pensare itinerante: mi fermo un tempo nel tal posto, non due giorni ma due anni. Allora sì che qualcosa si può costruire.
Comunque sia, sono esperienze preziose, prima da vivere, e poi da condividere 😀
Caro Manuel più ti leggo più penso che tu viaggerai per sempre. In due sicuramente è un'esperienza di squadra che fortifica entrambi. Ti seguo sempre e ti mando un caro saluto davvero. Ho tantissime domande da farti ma ora scappo che vado a lavorare... Io 🤭😉😘